“Festa del Patrocinio” o “Santu Itu Piccinnu”
La comunità di Lequile, nonostante la riforma liturgica del Concilio Vaticano II abbia indicato che la festa del Santo Patrono debba celebrarsi il giorno della nascita al cielo, cioè il 15 di giugno, è rimasta legata alla tradizione festeggiando San Vito in tre date diverse.
A) Il 13 febbraio: “Festa del Patrocinio” o “Santu Itu Piccinnu”
B) Il martedì di Pasqua: “Festa della traslazione della reliquia” o “Santu Itu Menzanu” …vedi il link
C) La IV domenica di giugno: “Festa del Santo Patrono” o “Te Santu Itu ranne” …vedi il link
13 febbraio: Festa del Patrocinio o “te Santu Itu Piccinnu”
È la prima delle tre solenni festività che il popolo di Lequile da data immemorabile celebra in onore di San Vito. Questa prima festa è un atto di ringraziamento che i lequilesi tributano al Santo per averli fatti scampare dal pericolo causato da un terribile nubifragio. La furia temporalesca portò gravi rovine solo alla chiesa; danneggiò la cupola emisferica ricoperta di ceramiche e crollò il campanile. Ma nessuna casa o edificio pubblico riportò gravi danni, né alcun cittadino rimase ferito. Il popolo interpretò tale evento come un favore celeste ottenuto da San Vito che pur di soccorrere i suoi devoti fece cadere l’impeto distruttivo sulla “sua casa”, la Cappella costruita in suo onore, lasciando illese e salve persone, animali e cose.
Per tale evento miracoloso e per tanti altri favori ottenuti dall’intercessione di San Vito i fedeli di Lequile han voluto conservare nella storia un grande tributo e un devoto affetto festeggiando ogni tredici di febbraio “Santu Itu Piccinnu te la focara”. Lo stesso P. Bonaventura da Lama registra nella sua opera la riconoscenza e la gratitudine del popolo per tale patrocinio. “Tanto dicono i Terrazzani di Lequile al loro Protettore, perché ne osservano tutti i giorni i miracoli; e se alle volte s’ha visto il fulmine danneggiar la sua Chiesa; slogati più e più volte della Cupola i mattoni, bruciate le cornici, e lasciato il segno agli Altari, è stato miracolo grande del Santo, che per non offendere de’ suoi divoti le case, s’ha accontentato di ricevere il danno nella sua propria Casa, ed ammonisse con quella lingua di fuoco tutti i divoti, che quel danno doveva a loro apportare, l’ha ricevuto a se stesso” .1
La tradizione però non registra l’anno di tale triste fenomeno. Nei documenti si trova scritto che nel 1546 vi fu un nubifragio che distrusse case e “scovrì la chiesa”.2 Certamente è precedente al 1670, anno in cui la “Pietas lequilensium instauravit augustius”, “ricostruì il nuovo tempio”, come si evince dalla scritta incisa sul cartiglio scolpito nella facciata della chiesa. Si tramanda però in modo preciso giorno e mese. Ancora oggi dire a Lequile “lu tridici te febbraru” significa richiamare “la festa te Santu Itu Piccinnu” o “Santu Itu te la focara”.
In quel giorno, fino al 1965, anno della riforma liturgica del Vaticano II, il popolo devoto celebrava la festa del patrocinio in modo alquanto solenne. La sera della vigilia si dava inizio alla festa religiosa. La domenica precedente si era già portata la statua del Santo dalla chiesa Matrice alla sua Cappella. Il dodici a sera si accendeva in Largo San Vito un grande falò, realizzato con le fascine di tralci di viti ( = le “sarmente”) che i devoti a spalla portavano dalle loro campagne. Al termine della serata, quando le fascine erano ormai consumate dal fuoco e la legna era già ben accesa, le persone, portando un braciere o un recipiente di rame, andavano nei pressi del falò. Dando un’offerta in denaro (due, quattro o dieci soldi), compravano la brace e i tizzoni accesi che portavano nelle loro case per riscaldarsi o per sentirsi maggiormente protetti dal Santo Patrono. Il Comitato gestiva il denaro ricavato spendendo o per il culto o per la festa.
Il 13 di febbraio a mattina si svolgeva la processione con la statua di San Vito “in penitenza”, cioè senza l’addobbo degli ori e senza la corona d’argento sul capo. Ciò a richiamare il triste evento passato e la preghiera di supplica per essere stati liberati per intercessione del Santo da ogni calamità e pericolo.
Arrivati in piazza San Vito, si svolgeva il rito del “cambio delle bandiere” di colore rosso per indicare il martirio. Le tre bandiere venivano collocate sulla parte più alta della colonna, quasi ai piedi della statua di San Vito. Immediatamente sotto la statua infatti erano fissati nella pietra 3 sostegni in ferro utilizzati per fissarvi le aste delle bandiere. Ciò lascia dedurre che, anche se non abbiamo documenti che descrivono l’anno e la circostanza d’inizio di tale rito, sin dall’inaugurazione della colonna (1694) si vollero benedire le bandiere e collocarle ogni anno ai piedi del Santo. In seguito (1930 ?), vuoi per l’impetuoso sbattere dei drappi a causa dei forti venti che lesionarono alcune pietre della colonna superiore, vuoi per la pericolosità dell’iniziativa che vedeva salire alcune persone su scale a pioli non ben ancorate e stabili per l’altezza, le assi reggi – bandiere furono ancorate su sostegni in ferro ai piani inferiori, come tuttora si può notare.
Al rientro della processione, il Capitolo, formato da numerosi sacerdoti, celebrava una solenne Messa di ringraziamento. Nel tardo pomeriggio, dopo il canto dei Vespri si teneva il panegirico, chiamando illustri oratori. La sera dello stesso giorno si riportava la statua di San Vito alla chiesa Matrice.
Quando la processione arrivava in piazza San Vito, si faceva una sosta accendendo un altro grande falò, allestito al centro della piazza. La legna si lasciava completamente bruciare e ridurre in cenere. La brace non si vendeva perché doveva ardere e consumarsi in onore di San Vito.
Nel 1965 fu soppressa la processione e si abolì il falò da parte dell’autorità ecclesiastica. I devoti di San Vito, allora, allestivano e accendevano tanti piccoli falò nelle varie contrade non volendo spegnere tale antica tradizione. Da alcuni anni il popolo ha voluto ripristinare il tradizionale falò. Ogni 13 di febbraio la sera, dopo la Messa solenne, ci si ritrova intorno alla “focara” per far festa in onore di San Vito. Una lirica in versi dialettali dal titolo “le tridici te febbraru”3, composta da un certo Matteo Greco di San Pietro in Lama, tramandata a memoria da padre in figlio, mantiene viva la devozione verso il Santo Patrono che in cielo intercede per il suo popolo.
Ultimo aggiornamento
22 Marzo 2021, 13:48